Spedizione in Antartide: il ruolo dello stress in condizioni di vita estreme

Comprendere come l’essere umano reagisca a lunghi periodi di isolamento in condizioni di vita estreme, come lunghe missioni nello spazio o in ambienti terrestri caratterizzati da altitudini e condizioni climatiche straordinarie, potrebbe informarci sulla sua capacità di adattamento allo stress e resistenza alle condizioni avverse, al fine di identificare una personalità idonea per missioni spaziali su Marte.

Una visione positiva di sé e degli altri, ovvero uno stile di attaccamento sicuro, potrebbe facilitare la resilienza individuale in condizioni ambientali e sociali estreme. Questa ipotesi è stata testata e valutata mediante approcci multidisciplinari nel prestigioso progetto di ricerca coordinato da Simone Macrì dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), in collaborazione con la Fondazione EBRI Rita Levi-Montalcini, l’Università La Sapienza di Roma e l’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ISAC), pubblicato sulla prestigiosa rivista Translational Psychiatry in data odierna.

In particolare, il team di ricerca ha concentrato l’attenzione sulle risposte psico-fisiologiche di un gruppo di 13 volontari rimasti in isolamento per un anno nella base di ricerca italo-francese Concordia, in Antartide, a un’altitudine di oltre 3mila metri al di sopra del livello del mare, per conoscere l’impatto di condizioni ambientali e psicosociali estreme sulle funzioni cognitive, sulla risposta immunitaria e sullo stress. I ricercatori dell’EBRI Mara D’Onofrio, responsabile della Facility di Genomica, Ivan Arisi, responsabile della Facility di Bioinformatica e Rossella Brandi, ricercatrice esperta di biologia molecolare e genomica, hanno contribuito a questo progetto dal titolo “Neurofisiologia e neuropsicologia di una spedizione Antartica presso la stazione Concordia”, sponsorizzato dal Programma Nazionale di Ricerche in Antartide, realizzando analisi di trascrittomica, volte a misurare la quantità di migliaia di geni contemporaneamente, prima, durante e dopo la missione. Il team EBRI ha condotto analisi statistiche, correlando tali risultati alle diverse variabili fisiologiche ed ai livelli di cortisolo (ormone dello stress).

Dai risultati della ricerca è emerso come le condizioni ambientali e sociali di confinamento particolarmente stressanti (isolamento, lunghi periodi di buio, temperature o altitudini estreme, lontananza dagli affetti) portino a fluttuazioni dei parametri fisiologici e comportamentali, in particolare durante la missione, accentuate nei partecipanti con stile di attaccamento insicuro, cioè meno disposti a fidarsi e a “fare squadra” con gli altri elementi del team della spedizione.

Al contrario, i partecipanti con stile di attaccamento sicuro hanno mostrato una migliore risposta comportamentale e fisiologica allo stress.

Tali evidenze potrebbero rivelarsi importanti per individuare soggetti con migliori caratteristiche di personalità per il successo di missioni spaziali.

 

Per approfondire:

https://www.nature.com/articles/s41398-020-00869-4

 

Clicca qui per leggere la notizia pubblicata sul sito dell’IS

 

Fonte immagine: Wikipedia