Donne e scienza: da Rita Levi-Montalcini alle ricercatrici di oggi dell’EBRI

In occasione della Giornata internazionale dei diritti della donna, che ricorre ogni anno l’8 marzo, la Fondazione EBRI Rita Levi-Montalcini condivide i traguardi raggiunti dalle sue scienziate nella ricerca neuroscientifica con il secondo appuntamento dedicato all’esperienza delle ricercatrici della nostra Fondazione: questa volta a parlarci della sua esperienza come donna e ricercatrice è Corinna Giorgi, Principal Investigator del Laboratorio “Metabolismo degli RNA messaggeri nel sistema nervoso”.

 

Rita Levi-Montalcini, fondatrice dell’EBRI, ha lasciato in eredità ai giovani ricercatori e ricercatrici dell’istituto la sua determinazione e passione per la ricerca, condizione essenziale per raggiungere traguardi e soddisfazioni, oltre che l’impegno nell’azzerare il gender gap nella scienza. Nonostante i notevoli passi in avanti fatti, l’uguaglianza tra i generi, tra i punti dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, rappresenta ancora un obiettivo da raggiungere: meno di una studentessa su tre seleziona discipline scientifico-tecnologiche nell’istruzione superiore e molte donne continuano a essere escluse dalla piena partecipazione al mondo scientifico. Abbiamo affrontato anche questo argomento con la nostra ricercatrice.

 

Ecco l’intervista fatta a Corinna Giorgi.

  

Su quali ambiti di ricerca sei impegnata attualmente?

 

Da diversi anni la mia ricerca è dedicata a comprendere i meccanismi molecolari di base che contribuiscono a regolare l’attività dei neuroni, per esempio nella memoria e nel differenziamento. Il mio punto di vista, da biologa molecolare, è microscopico. In particolare, mi interesso di RNA messaggeri, piccole molecole presenti in tutte le cellule che fanno da tramite nella conversione dell’informazione genetica dal DNA in proteine. Studio come cambia la regolazione degli mRNA in risposta a stimoli nervosi o differenziativi, e come questi cambiamenti si traducono in modulazione funzionale del neurone. Per tanti anni ho studiato l’RNA messaggero di Arc, una proteina la cui espressione in neuroni eccitatori è essenziale per il consolidamento della memoria ed è alterata nella malattia di Alzheimer. Più di recente, mi sono occupata di meccanismi molecolari che coinvolgono l’RNA e regolano la formazione degli assoni nelle prime fasi del differenziamento neuronale. Infine, insieme alla mia collega Cristina Marchetti dell’EBRI, ho da poco iniziato un progetto di ricerca per comprendere quale sia il meccanismo patologico alla base di una forma rara di encefalopatia epilettica che colpisce i bambini nei primi anni di vita. La nostra ipotesi è che uno dei meccanismi responsabili di questa patologia sia un alterato processamento dell’RNA messaggero di un recettore molto importante per lo sviluppo del cervello e della sopravvivenza dei neuroni. A breve spero di avere i primi risultati per poter chiedere un finanziamento per questa ricerca.

 

Perché è importante fare ricerca di base e perché hai deciso di studiare gli mRNA?

 

Ciò che da sempre mi motiva a fare questo lavoro è la curiosità di capire il “come” e il “perché” del mondo che ci circonda. Soddisfare questa curiosità è il motore principe di tante scoperte, dalle più piccole a quelle di maggior peso, che hanno rivoluzionato la nostra società. Non è facile per me distinguere tra ricerca di base e scienza applicata perché i due ambiti si intersecano e sono entrambi essenziali: alla curiosità scientifica si aggiunge ovviamente il desiderio di poter contribuire a risolvere o prevenire patologie, ma credo che qualsiasi studio “di base” contribuisca, in modo più o meno diretto, ad aumentare l’arsenale di conoscenze e di strumenti da utilizzare negli studi più applicativi. Riguardo la scelta dell’RNA, me ne sono innamorata alla prima lezione di Biologia Molecolare II all’Università. Se il DNA è il libro di ricette (geni), l’RNA è lo chef, che si muove nella cellula portando con sé la ricetta ai cuochi della cucina (i ribosomi, che la traducono in proteina). In questo percorso gli succede di tutto, gli mettono un cappello, una coda, lo tagliano e riassemblano, spesso cambiandolo, così che da una singola ricetta possiamo avere piatti completamente diversi. Questo percorso così variegato e complesso consente di amplificare enormemente la potenzialità codificante dei nostri geni, ed è forse la fase più finemente regolata dell’espressione genica. I neuroni poi sono maestri nello sfruttare questa flessibilità dell’RNA, riuscendo così a produrre proteine solo dove e quando serve, con una precisione che ha dello straordinario. Per questo ne sono affascinata e per questo l’RNA non smetterà mai di sorprendermi.

 

Approdata all’EBRI nel 2007 dopo cinque anni passati negli Stati Uniti, nel laboratorio di Melissa J. Moore, Corinna Giorgi ha iniziato a studiare Arc mRNA nella formazione della memoria e per i primi anni all’EBRI ha continuato i suoi studi su questo gene. Dopo qualche anno, è diventata Group Leader e ha potuto continuare a perseguire i suoi studi e i suoi interessi in totale libertà, “una condizione che – spiega la ricercatrice – credo sia privilegiata e per la quale mi sento molto fortunata”.

 

Lavoratrice, donna e madre: ritieni sia possibile?

 

Sul piano teorico certo che è possibile, esattamente come lo è per un uomo. Sul piano pratico, viviamo ancora in una società che tarda ad abbandonare stereotipi di genere, dà meno valore alle donne e spesso scarica su di loro l’accudimento dei figli e della casa. Questo retaggio purtroppo continuo a riscontrarlo anche nella generazione di mia figlia, che va alle elementari. Basti pensare alle feste che spesso sono di soli “maschietti”, magari al lasergame, o di sole “femminucce”, che al lasergame si divertirebbero altrettanto. Anche in ambito scientifico non siamo esenti da discriminazioni; se in Italia (e in Europa) le ricercatrici compongono il 40% della forza lavoro, solo il 3% raggiunge posizioni “senior”. Questa situazione è dannosa per tutti, non solo per donne. Così come un progetto scientifico ha molte più possibilità di successo se affrontato in modo corale e multidisciplinare, lo stesso vale per la nostra società: se non impariamo a valorizzare le differenze, di genere e culturali, a sfruttarne il valore aggiunto, non andremo molto avanti. A livello personale, nella mia famiglia non ci sono distinzioni di ruoli. Anzi, mio marito è spesso più presente di me nell’accudimento di nostra figlia, perché valorizza il suo ruolo di padre come pochi fanno. E’ difficile per entrambi conciliare lavoro, casa, figlia e ora pure il cane, ma condividendolo il peso si fa più sostenibile.